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Vi siete mai chiesti se i mercati siano prevedibili o imprevedibili? Probabilmente vi è sempre stato detto che le grandi industrie del risparmio hanno know how, informazioni e strumentazioni tali da consentire loro di fare accurate previsioni su quello che succederà sui mercati. Però è un argomento di cui difficilmente si parla, anche sui giornali finanziari, direi che piuttosto lo si dà per acquisito. Parliamone un momento.
Su questo argomento, come spesso accade, ci sono due scuole di pensiero tra di loro contrapposte che sono alla base dei due modelli di gestione tra cui è divisa l’industria del risparmio: la gestione attiva e quella passiva.
Io vi voglio raccontare brevemente quali sono le ragioni che mi hanno indotto ad abbracciare la scuola di pensiero secondo la quale i mercati finanziari sono imprevedibili.
Per me sono stati determinanti tre autori.
Il primo è stato certamente N.N. Taleb (autore de Il Cigno nero e altri interessantissimi libri, tra cui Fooled by randomness e Antifragile). Matematico, filosofo e trader in strumenti derivati e precisamente in opzioni. I suoi ragionamenti sono molti eleganti e sono supportati da basi matematiche e statistiche da accademico. Diciamo che il concetto di fondo è questo: è sicuramente vero che ad una o più cause conseguono uno o più effetti. Purtroppo però non conosciamo che una piccola parte delle cause e non sappiamo come queste operino tra di loro, quindi non possiamo prevederne gli effetti. Questo vale in svariati campi, ad esempio nelle previsioni meteorologiche (anche se su queste si stanno facendo notevoli progressi). Vale massimamente sui mercati finanziari, dove gli eventi sono le risultanti dell’interazione di milioni di individui. Vale un po’ in tutte le scienze sociali. Se volessimo tradurlo in fisica, per intenderci, è sostenibile che il battito di ali di una farfalla a Tokyo generi un uragano a New Orleans ma non è possibile partire da quel battito di ali e seguirne gli effetti fino all’uragano, perché i battiti sono miliardi e sono destinati ad interagire con altri miliardi di concause.
Il secondo autore che vi voglio segnalare è Gerd Gigerenzer, psicologo che ha dedicato la vita allo studio delle capacità umane di prendere decisioni in contesti incerti, nei quali non si dispone (e non si può disporre) di tutte le informazioni che consentirebbero di assumere decisioni certe. È direttore del Center for Adaptive Behavior and Cognition (ABC) presso il Max Planck Institute for Human Development di Berlino. Nel suo libro “Imparare a rischiare” dedica ampio spazio anche alla prevedibilità dei mercati finanziari ed al mondo della consulenza finanziaria contro il quale si schiera con decisione, sostenendo proprio che, non essendo possibile fare previsioni attendibili, non vi è motivo per sostenere i costi connessi a tali previsioni. Racconta anche un paio di aneddoti divertenti e particolarmente istruttivi: racconta di aver partecipato, assieme ad un suo collega psicologo, ad un concorso organizzato da un’importantissima testata di informazione finanziaria di livello globale. Per partecipare al concorso, misurandosi con i consulenti e gestori di mezzo mondo, occorreva formulare delle previsioni in relazione alle azioni che avrebbero meglio o peggio performato sui mercati azionari americani nell’anno successivo. Lui ed il suo collega hanno formulato le loro previsioni sulla base di risposte che le persone che passeggiavano per le strade di Berlino fornivano alle loro domande (con le quali chiedevano di scegliere tra due titoli azionari). Ebbene, hanno vinto! Il secondo aneddoto riguarda Harry Markowitz, premio Nobel per l’economia per la sua teoria del portafoglio efficiente. Una volta andato in pensione, alla domanda “ma lei prof. Markowitz, investe le sue risorse secondo la teoria del portafoglio efficiente?” pare che Markowitz abbia risposto: “no, io le investo secondo la formula 1/N, dove N è il numero di asset su cui è possibile investire, perché per far sì che il portafoglio efficiente faccia meglio dell’1/N, per la sua costruzione occorrerebbe la disponibilità di 500 anni di dati”!
Infine, colui che mi ha definitivamente aperto gli occhi è stato John Bogle, fondatore di Vanguard Group, un vero visionario che ha posto al centro della sua impresa il risparmiatore. Oggi Vanguard è il secondo gestore al mondo per masse gestite, oltre 5.000 miliardi di dollari, e la società è di proprietà dei fondi dalla stessa gestiti, in modo che gli utili ricadano ancora sui risparmiatori che acquistano i fondi. John Bogle ha ricondotto tutti i ragionamenti all’aritmetica di base, come lui stesso la definisce. È molto semplice. Dice Bogle: prendiamo l’S&P500, il più noto e rappresentativo indice azionario americano. Bene. L’obiettivo di un gestore che gestisce un fondo azionario America e che operi facendo previsioni (e quindi cercando di scegliere le azioni che si comporteranno meglio nel prossimo periodo) dovrebbe essere quello di ottenere, nel medio e lungo periodo, un rendimento superiore a quello dell’indice. Questo però mediamente non avviene e per un motivo, appunto, matematico.
E il motivo è che l’indice, per definizione, è una media e come tale rappresenta la media dei rendimenti che gli investitori ottengono operando sulle azioni che lo compongono, al lordo però dei costi che sostengono per i loro investimenti.
Quindi: tutti gli operatori (e la stragrande maggior parte sono fondi di investimento) che operano sulle azioni dell’S&P500 ottengono, in media, il rendimento dell’S&P500, è matematico, non può essere che così!
Se però, per effettuare questi investimenti, sostengono costi pari, poniamo, al 2% annuo, il rendimento medio sarà pari a quello dell’S&P500 meno i costi sostenuti. Di nuovo, è matematico, non può essere che così.
Rendimento medio significa che ci saranno sicuramente gestori che faranno meglio di quell’indice. Il problema è che, spiega sempre Bogle, innanzitutto devono far meglio dell’indice al netto dei loro costi, altrimenti non c’è soddisfazione per l’investitore. Inoltre c’è un massiccio turnover tra i gestori che fanno meglio dell’indice, poniamo, su un arco temporale di cinque anni e quelli che fanno meglio nei cinque anni successivi perché si verifica quell’effetto statistico che viene definito “ritorno alla media”. E quindi siamo nuovamente nella situazione di dover fare una previsione impossibile: quali saranno i fondi che faranno meglio dell’indice nei prossimi cinque anni? Non si può sapere.
Oltre a questi autori che vi ho citato voglio aggiungere un argomento all’imprevedibilità dei mercati che è forse il più forte ed è quello EMPIRICO: chi è sufficientemente vecchio, come me, per ricordarselo, si faccia questa domanda: quanti gestori e consulenti sono stati in grado di prevedere lo scoppio della bolla internet all’inizio degli anni 2000, quanti sono stati in grado di prevedere la crisi finanziaria devastante degli anni 2008-2009, delle successive crisi del debito sovrano e della crisi della Cina del 2015 che in pochi giorni ha fatto tremare i mercati finanziari di tutto il mondo. Se non sono stati in grado di prevedere questi eventi, cos’è che ci fa credere che saranno in grado di prevedere i prossimi. Io credo che questo sia davvero l’argomento determinante.
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