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Plus24, l’inserto de Il Sole24Ore, di sabato 12 settembre dà conto di una ricerca parecchio interessante, Active/Passive Navigator, condotta da Lyxor Am.
A quanto emerge da questa ricerca, solo il 62% dei fondi comuni è riuscito a sopravvivere sui mercati negli ultimi 10 anni.
Cito testualmente l’articolo di Plus24: “L’approfondito studio mette anche in luce che i fondi comuni che sono stati liquidati dai gestori tendono ad avere una capacità di battere il benchmark significativamente inferiore rispetto a quelli rimasti operativi dopo 10 anni. Segno evidente che dietro la chiusura di un fondo spesso c’è la volontà del gestore di cancellare una storia di performance deludenti. Considerando solo i fondi ancora in attività, la percentuale di quelli che sono riusciti nell’ultimo decennio a offrire ai sottoscrittori un extra rendimento rispetto agli indici di riferimento è pari al 29%, una quota minima che scende ulteriormente al 23% prendendo in esame anche i numerosi comparti che negli anni sono stati fusi o liquidati. Un fenomeno che emerge sistematicamente dalle percentuale di successo dei gestori attivi in tutte le categorie analizzate, ad eccezione degli obbligazionari High Yield Usa e degli azionari Small Cap Usa”.
Abbiamo parlato più volte degli indici Fideuram che rappresentano i rendimenti medi pesati dei fondi comuni UCITS di diritto italiano. Abbiamo visto ampiamente come tali indici sottoperformino, negli ultimi 10 anni, con una regolarità molto significativa gli indici di riferimento o benchmark costruiti ricercando la migliore correlazione possibile. Da questo dato si possono dedurre due possibili conclusioni:
1) è probabile che molti dei fondi le cui performance confluiscono negli indici Fideuram non abbiamo una reale gestione attiva al loro interno, volta a generare il famoso Alpha; al contrario molto spesso questi fondi non fanno altro che replicare degli indici in modo piuttosto passivo, come fanno gli ETF, ma con un carico di costi, sia di gestione che di distribuzione, che ne va a comprimere le performance in misura tutt’altro che trascurabile; se in un orizzonte temporale breve, come un anno, questo può sembrare avere un impatto non significativo sui rendimenti, in realtà proiettando l’orizzonte temporale un po’ più in là, l’impatto è decisamente importante per l’effetto compounding (la composizione dei rendimenti);
2) alternativamente, o in aggiunta, a quanto sopra, si può ipotizzare che la maggior parte delle operazioni di timing sui mercati si riveli essere deleteria per l’andamento dei nostri risparmi e dei nostri investimenti; questo emerge in particolare dal confronto, ad es., dell’indice Fideuram Flessibili con l’indice Fideuram Bilanciati dal quale si può notare che il primo (che include fondi con una delega più ampia al gestore), mostra un rapporto rischio/rendimento decisamente peggiore del secondo; NB: non sto parlando di rendimento perché questo ben potrebbe essere più basso se fosse la conseguenza di una gestione più prudente; sto parlando di rapporto rischio/rendimento e, quindi, di rendimento in rapporto all’unità di rischio.
Cosa ci dice in più la ricerca di cui parla Plus24 di sabato?
Ci dice che il dato emergente dagli indici Fideuram, pur essendo di per sé molto negativo, è in realtà ottimistico rispetto alla realtà in quanto i fondi che non sopravvivono smettono di farne parte e, quindi, l’andamento degli indici risulta “ripulito” da performance che, mediamente, sono inferiori alle altre.
Non si tratta esattamente di un “survivoship bias” perché lo storico degli indici tiene conto anche di tali fondi. È però un meccanismo che elimina i peggiori determinando un risultato superiore alla realtà. Per intenderci, questo effetto non si verifica negli ETF. Un ETF che replichi, ad es., l’S&P500 effettua una rotazione di portafoglio allineata alla rotazione della composizione dell’indice stesso e, conseguentemente, il suo andamento storico riflette esattamente il rendimento (o la perdita) che avrei ottenuto detenendo quell’ETF in portafoglio per il lasso di tempo rappresentato.
È sempre meglio sapere come stanno le cose per poter decidere con consapevolezza.
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