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["Decidere sui mercati","Consigli per la lettura","News: riflessioni","Un po' di statistica","Strumenti finanziari","Mercati e portafogli","Psicologia e finanza"]
«Proprio come l’uomo primitivo che un giorno si grattò il naso, vide piovere, e sviluppò un modo elaborato di grattarsi il naso per ottenere la pioggia che desiderava, noi oggi colleghiamo la prosperità economica a qualche riduzione dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, o il successo di una società alla nomina di un nuovo presidente.»
N.N. Taleb
Una delle riflessioni che emergono dalle ultime settimane riguarda la tenuta – o forse l’apparente tenuta – del dollaro come bene rifugio. È un paradigma che molti di noi hanno dato per scontato: quando i mercati azionari vacillano, ci si aspetta che il dollaro e i Treasury fungano da àncore. Eppure, ad aprile, è successo qualcosa di insolito. Dopo il cosiddetto "Liberation Day" del 2 aprile, abbiamo assistito a una vendita simultanea di azioni, dollari e obbligazioni governative USA. Non è facile dire se si sia trattato di un’eccezione passeggera o dell’inizio di un cambiamento strutturale, ma la cosa interessante è che questa dinamica ha messo in discussione una fiducia che sembrava incrollabile.
L’amministrazione USA ha risposto sospendendo temporaneamente le tariffe, quasi a voler placare un mercato che reagiva in modo troppo sincrono e, forse, troppo fragile. Si parla oggi non più solo di “Fed put”, ma di una sorta di “Treasury put”: una priorità alla stabilità dei titoli di Stato più che a quella dell’azionario. È una scelta? Una necessità? Difficile dirlo con certezza. Di fatto, in un contesto dove molti portafogli globali sono fortemente esposti a dollaro e asset statunitensi, la percezione del rischio è cambiata. Questo non significa che il dollaro abbia perso il suo ruolo, ma potrebbe suggerire che affidargli una funzione "assoluta" di protezione forse oggi richiede qualche cautela in più.
Nonostante i segnali di nervosismo nei sondaggi sul sentiment di consumatori e imprese statunitensi, i dati concreti – quelli che non si raccolgono nei titoli ma nelle statistiche ufficiali – raccontano una storia diversa, per lo meno ancora stabile. Il mercato del lavoro ha prodotto 177 mila nuovi posti, con disoccupazione ferma al 4,2%. Colpisce in particolare la resilienza (almeno apparentemente) del settore dei servizi: sanità, trasporti, logistica, servizi finanziari. D’altra parte, invece, sembra oggettiva la fatica sul lato dei consumi, con un umore dei consumatori che pare cambiato, portandoli ad un atteggiamento più cauto.
È arrivata anche la prima lettura negativa del PIL (-0,3%), che però è stata assorbita con relativa tranquillità dai mercati. Forse perché attesa, forse perché considerata un dato ancora troppo affetto da rumore per tenerne debitamente conto. La Fed di Atlanta prevede un rimbalzo all’1,1% per il secondo trimestre. Si può leggere la situazione in modi diversi: è una semplice oscillazione ciclica o un primo campanello d’allarme? Non manca chi sostiene che ben difficilmente gli Stati Uniti riusciranno ad evitare una recessione, anche se (ipotesi non realistica) l’amministrazione facesse un brusco dietro front sui dazi, perché il loro annuncio ha già causato un danno in termini di incertezza e di interruzione delle catene di approvvigionamento.
Uno dei segnali più osservati dagli investitori è il tono delle relazioni tra Washington e Pechino. In un periodo in cui le parole sembrano pesare quanto le azioni, il solo fatto che entrambe le parti abbiano smussato, almeno nei toni, le proprie posizioni sui dazi ha avuto un impatto importante sul sentiment.
Wall Street ha chiuso ben nove sedute consecutive in rialzo, una cosa che non si vedeva da oltre vent’anni. Tra i fattori in gioco: meno volatilità, più liquidità in cerca di destinazione e, appunto, la speranza che la tensione commerciale possa rientrare. Speranza fondata? È difficile dirlo. Ma intanto è bastata per rimettere in moto meccanismi di ribilanciamento da parte di fondi e investitori istituzionali.
Anche l’Europa è entrata nella partita con una proposta concreta: importare 50 miliardi di dollari di beni americani in cambio di una rimozione delle tariffe. È un segnale di apertura o un compromesso che nasconde ulteriori negoziazioni? Qui più che mai vale la pena osservare gli sviluppi con attenzione, senza illudersi ma nemmeno sottovalutando il potere delle svolte diplomatiche nei momenti di stress.
Powell e la Fed sembrano aver scelto la linea della prudenza, almeno per ora. Il prossimo meeting non dovrebbe portare modifiche ai tassi e, in fondo, i dati non sembrano giustificare un’azione immediata. L’inflazione resta sotto controllo, ma con un punto interrogativo legato agli effetti futuri dei dazi e con qualche tensione che inizia a vedersi.
Nel frattempo, la dialettica tra Fed e Casa Bianca resta accesa. Trump continua a invocare un allentamento monetario, ma senza ottenere risposte. Forse perché alla Fed si ritiene che una mossa affrettata potrebbe compromettere la credibilità nel medio periodo della banca centrale.
Nel frattempo, l’Europa sembra voler giocare una partita più accomodante: almeno due tagli dei tassi BCE sono attesi entro fine anno, mentre negli USA le attese per tre tagli restano, ma sono sempre più “condizionate”. Questo differenziale di atteggiamento ha contribuito al rafforzamento dell’euro sul dollaro.
MSCI World: +3,0% (settimana), +1,1% (anno)
S&P 500: +2,9% (settimana), -2,9% (anno)
Nasdaq 100: +3,5% (settimana), -4,1% (anno)
Eurostoxx 50: +2,7% (settimana), +9,6% (anno)
FTSE Mib: +2,6% (settimana), +13,6% (anno)
Nikkei: +3,2% (settimana), -6,8% (anno)
Hang Seng China: +2,1% (settimana), +14,2% (anno)
MSCI Emerging: +3,4% (settimana), +6,3% (anno)
Il mese di aprile ha messo a dura prova anche i più navigati tra gli investitori. Dopo una correzione intensa – il drawdown dell’S&P 500 ha superato il 15% – la chiusura mensile è stata sorprendentemente contenuta: solo -0,7%. Il rimbalzo ha avuto un respiro globale. L’S&P 500, il Nasdaq, l’EuroStoxx, il Nikkei e i mercati emergenti hanno chiuso la settimana con variazioni positive. È un movimento che non riguarda solo i prezzi, ma anche il sentiment. Gli investitori, per ora, sembrano avere più fiducia. Ma sarà sufficiente?
La stagione degli utili ha aiutato, in particolare nel settore tech, con Microsoft e Meta a trainare il comparto. Meno brillanti Amazon e Apple, che scontano l’esposizione a catene globali più vulnerabili.
Il VIX ha proseguito la sua discesa, perdendo 2,2 punti e chiudendo a 22,7. La curva a termine resta ancora in backwardation anche se la continua a calare.
Global Aggregate: -0,15% (settimana), -1,13% (anno)
Rendimento Treasury 10Y: 4,31% (+0,07% settimanale)
Rendimento Bund 10Y: 2,53% (+0,06% settimanale)
Rendimento BTP 10Y: 3,64% (+0,06% settimanale)
Spread BTP-Bund: 1,10% (0,00% settimanale)
Dopo il panico di inizio aprile, i mercati obbligazionari hanno ritrovato una certa stabilità. I rendimenti sono tornati a salire leggermente – il Treasury USA decennale al 4,31%, il Bund tedesco al 2,53%, il BTP italiano al 3,64% – ma senza scossoni. Lo spread BTP-Bund è rimasto stabile intorno ai 110 punti base, segnale che il clima di fiducia, se non è pieno, almeno non è in deterioramento.
L’elemento interessante è il comportamento del segmento high yield, più correlato all’equity, che ha mostrato segnali di ripresa. Forse anche questo è un indizio: quando il credito ad alto rendimento si muove meglio, significa che il mercato sta recuperando un po’ di appetito per il rischio. Ma quanto è duraturo questo appetito? Non è facile rispondere, soprattutto in una fase in cui le politiche monetarie restano prudenti e i segnali macroeconomici sono ambigui.
Petrolio WTI: 58,3, -7,5% (settimana), -18,7% (anno)
Oro: 3.240, -2,4% (settimana), +23,5% (anno)
EUR/USD: 1,130, -0,6% (settimana), +9,1% (anno)
Le materie prime, questa volta, hanno viaggiato in controtendenza rispetto all’equity. L’oro, dopo aver toccato un massimo spettacolare a 3.500$, ha ritracciato verso 3.240$, mantenendo comunque un trend positivo da inizio anno. Potremmo leggere questo movimento come una fisiologica fase di consolidamento, più che come un’inversione.
Molto più marcato, invece, il calo del petrolio, che ha perso il 7,5% nella settimana, scendendo sotto i 60 dollari al barile. Un segnale tecnico debole, che risente delle preoccupazioni sul rallentamento globale e della ridefinizione delle aspettative inflazionistiche, ma anche dell’aumento della produzione da parte dei Paesi OPEC che potrebbero aver intenzione di tenere basso il prezzo per rendere antieconomica l’estrazione dello shale oil negli Stati Uniti ma che, in questo modo, offrono anche a Trump una “scusa” per chiedere a Powell di intervenire sui tassi.
Sul fronte valutario, l’euro si è rafforzato sul dollaro, con il cambio tornato in area 1,13.
Qui di seguito l’andamento dall’inizio del servizio (1 luglio 2019) dei portafogli modello al lordo dei costi di transazione (variabili in base all’intermediario utilizzato e generalmente compresi tra 2,5 e 20 euro per ciascuna operazione), di quelli sostenuti per la consulenza e degli eventuali impatti della fiscalità ed al netto, invece, dei costi dei singoli strumenti utilizzati.
I dati si riferiscono al passato ed i risultati passati non costituiscono un indicatore affidabile dei risultati futuri.
I portafogli modello costituiscono la base utilizzata nell’attività di consulenza in materia di investimenti.
I singoli portafogli dei clienti possono differire dai modelli anche in modo significativo in ragione di diverse cause, valutate per ciascun cliente nell’attività di consulenza, quali contingenze fiscali, pianificazione, gestione del rischio di ingresso o in logica life cycle. All’interno del portafoglio complessivo del cliente possono anche essere presenti più portafogli in considerazione della pianificazione per obiettivi effettuata all’inizio o in corso di consulenza continuativa.
Prosegue il rimbalzo per i portafogli modello che da inizio anno restano in contenuto calo. Il rally dell’oro degli ultimi mesi ha significativamente aiutato a limitare il drawdown di portafoglio anche se il significativo calo del dollaro ne ha ridotti gli effetti. Il calo del dollaro ha anche impattato sulla parte azionaria e sul debito globale. Il drawdown in corso ha toccato circa i due terzi del massimo storico dei portafogli prima del rimbalzo, dopo molti mesi di crescita estremamente regolare. Dove è stato possibile, abbiamo acquistato con moderazione azionario con esposizione anche al cambio e un po’ di duration obbligazionaria. È probabile che la volatilità rimanga alta, anche se ci saranno certamente rimbalzi (come già si è visto in queste settimane) e probabilmente nuove discese. Non è neppure scontato che l’indebolimento del dollaro e la “fuga” dei capitali denominati in valuta forte siano terminati. Certo molto è legato all’imprevedibilità ed alle esternazioni di Trump e del suo staff. Gli esiti dei negoziati, che pure sembrano avviati con diversi Paesi, non saranno probabilmente consolidati in poco tempo. E comunque le dinamiche di questo momento sono tutt’altro che lineari. Al momento non mi pare ci siano più le condizioni per proseguire nell’incremento dell’esposizione sull’azionario, meglio attendere le evoluzioni.
Restano valide, a mio giudizio, due considerazioni relative al momento storico. La prima è che, ora più che mai, non è il caso di concentrarsi su specifiche aree geografiche, come gli USA, nella convinzione che rimarranno sempre il faro finanziario del mondo. Non sappiamo chi uscirà vincitore dalla guerra commerciale in atto e quali equilibri ne emergeranno, vale quindi la pena di aumentare la diversificazione geografica cercando forse anche pesi leggermente diversi da quelli degli indici a capitalizzazione. La seconda è che, probabilmente, i mercati scontano attualmente un certo livello di dazi ma forse non scontano ancora una recessione, che potrebbe comportare cali più importanti e che, al momento, non è possibile escludere. Per questo non credo abbia senso inseguire il rimbalzo, meglio comprare qualcosa nelle fasi di debolezza. Se ci fosse un rimbalzo vigoroso si sarebbe forse persa un’opportunità o, meglio, la si sarebbe colta solo in parte. Ma non possiamo mai sapere quali sono i minimi ed i massimi di mercato, occorre muoversi con prudenza e gradualità.
La bussola che ci deve guidare rimane formata da pianificazione e gestione del rischio, le uniche armi che abbiamo a disposizione per difenderci dalle emozioni che rischiano costantemente di farci prendere decisioni avventate.
Perché riporto sempre queste avvertenze?
Dal mio punto di vista è una questione di abitudini sane. Prima di guardare il proprio portafoglio o valutare di effettuare o dismettere un investimento, è bene riportarsi alla mente i pochi concetti base che ci aiutano a recuperare consapevolezza, facendoci porre le giuste domande.
E quindi ricordo le principali emozioni a cui dobbiamo stare attenti operando sui mercati (so che sarete stanchi di leggerle o che, più probabilmente non le leggerete più ma, in realtà, sono quel tipo di considerazioni a cui bisogna ricorrere ogni tanto, quando ci si domanda cosa si stia facendo… e, quindi, repetita iuvant):
Manteniamo sempre il focus determinante sulla pianificazione individuale di ciascuno, che è l’unico aspetto sotto il nostro controllo (oltre naturalmente all’efficienza data dal contenimento dei costi), non essendo i mercati né controllabili né prevedibili, ricordando anche che:
Le presenti informazioni sono state redatte con la massima perizia possibile in ragione dello stato dell’arte delle conoscenze e delle tecnologie. Il presente documento non è da considerarsi esaustivo ma ha solo scopi informativi. La pubblicazione del presente documento non costituisce attività di sollecitazione del pubblico risparmio. Le informazioni ed ogni altro parere resi nel presente documento sono riferiti alla data di redazione del medesimo e possono essere soggetti a modifiche. Flavio Rinaldi non deve essere ritenuto responsabile per eventuali danni, derivanti anche da imprecisioni e/o errori, che possano derivare all’utente e/o a terzi dall’uso dei dati contenuti nel presente documento. Flavio Rinaldi non assume responsabilità in merito al trattamento fiscale degli strumenti illustrati. I pareri espressi da Flavio Rinaldi prescindono da qualsiasi valutazione del profilo di rischio e/o di adeguatezza e sono da intendersi come “Ricerche in Materia di Investimenti” ai sensi dell’art. 27 del Regolamento congiunto Consob e Banca Italia del 29 ottobre 2007 redatte a titolo esclusivamente informativo e non costituiscono in alcun modo prestazione di un servizio di consulenza in materia di investimenti, il quale richiede obbligatoriamente un’analisi delle esigenze finanziarie e del profilo di rischio specifici del singolo utente/cliente, né costituiscono un servizio di sollecitazione in genere all’investimento in strumenti finanziari. Nel caso in cui l’utente intenda effettuare qualsiasi operazione è opportuno che non basi le sue scelte esclusivamente sulle informazioni indicate nel presente documento, ma dovrà considerare la rilevanza delle informazioni ai fini delle proprie decisioni, alla luce dei propri obiettivi di investimento, della propria esperienza, delle proprie risorse finanziarie e operative e di qualsiasi altra circostanza.
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