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["Decidere sui mercati","Consigli per la lettura","News: riflessioni","Un po' di statistica","Strumenti finanziari","Mercati e portafogli","Psicologia e finanza"]
«Proprio come l’uomo primitivo che un giorno si grattò il naso, vide piovere, e sviluppò un modo elaborato di grattarsi il naso per ottenere la pioggia che desiderava, noi oggi colleghiamo la prosperità economica a qualche riduzione dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, o il successo di una società alla nomina di un nuovo presidente.»
N.N. Taleb
L’evento che ha catalizzato l’attenzione internazionale nell’ultima settimana è stato l’attesissimo annuncio, da parte dell’amministrazione Trump, di nuove tariffe commerciali che si sono rivelate di entità superiore a quanto molti osservatori si aspettassero. Per mesi si era discusso di “tariffe reciproche”, un meccanismo che, nelle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto equilibrare la tassazione subita dalle esportazioni statunitensi verso i vari paesi. Tuttavia, nella concretezza, si è scelta una via più incisiva. La formula adottata calcola, in modo del tutto arbitrario, l’incidenza dei dazi in modo proporzionale al deficit commerciale degli Stati Uniti verso i singoli partner, sfociando in un incremento tariffario che, per la Cina, arriva a un 34% complessivo (considerando anche il 20% già applicato in precedenza) e, per l’Unione Europea, si aggira intorno al 20%. Questa mossa supera le aspettative più prudenziali, ferme nel range 10-20%.
Nel mirino sembrano rientrare, in particolare, le aziende con catene di assemblaggio in Asia, pronte a esportare verso gli Stati Uniti. Brand come Apple o Nike potrebbero ritrovarsi a dover rivedere i propri modelli operativi, se l’imposizione di dazi incrociati raggiungesse livelli tali da mettere a rischio la convenienza di produrre in Cina per vendere negli Stati Uniti (e viceversa).
La Cina, contrariamente alle consuetudini diplomatiche che la vedevano spesso più attendista, ha replicato in modo rapido e deciso. Non solo ha introdotto a sua volta dazi al 34% sui prodotti statunitensi, ma ha anche annunciato controlli potenzialmente rilevanti sull’export di terre rare. Queste ultime, fondamentali per numerose tecnologie, assumono così il ruolo di strumento di pressione in un contesto che alcuni reputano già teso. L’immediatezza dell’iniziativa cinese ha spiazzato quanti pensavano che Pechino avrebbe preferito risposte più graduali, considerando i massicci flussi commerciali che collegano le due economie.
Alcune interpretazioni suggeriscono che Pechino abbia scelto di reagire per colpire l’immagine di Trump, puntando sui forti cali di mercato che avrebbero potuto risultare problematici per la Casa Bianca. D’altro canto, l’amministrazione statunitense si era detta pronta a sacrifici “necessari”, ma probabilmente non fino al punto di assistere a un tale tonfo degli indici azionari. La fermezza cinese, insomma, indica una competizione geopolitica che va oltre il semplice commercio, includendo anche la tecnologia e il controllo delle risorse critiche.
Alcuni inviati riferiscono da Pechino che la comunicazione pare volta a trasmettere l’idea che la Cina fosse pronta a questa evenienza e che, anzi, vi si stesse preparando da parecchi anni, riducendo il proprio portafoglio di Treasury e perseguendo accordi commerciali con molti Paesi alternativi.
La mossa di Trump suggerisce un cambio di passo che, potenzialmente, potrebbe influenzare consumi, prezzi e la stessa stabilità macroeconomica globale. Stime semplificate indicano che tariffe medie vicine al 20% potrebbero generare un incremento di circa 2 punti percentuali nei prezzi finali, con conseguente rialzo dell’inflazione. Nel brevissimo periodo, potrebbe quindi emergere una Federal Reserve più prudente nel tagliare i tassi, benché la retorica dell’amministrazione Trump insista sul fatto che questo approccio, nel medio termine, possa “rilanciare” l’economia interna e l’occupazione.
In ogni caso, una vera e propria guerra commerciale non può essere esclusa. Se i dazi superassero il 30-40%, i costi di produzione e distribuzione crescerebbero tanto da mettere in crisi intere filiere internazionali, con ricadute che andrebbero ben oltre un semplice ritocco dei prezzi. A quel punto, i governi potrebbero adottare controrisposte altrettanto dure: la stessa controffensiva cinese ha mostrato che tali dinamiche possono svilupparsi rapidamente. Nel frattempo, l’attenzione ricade anche sulla Federal Reserve e sul possibile attrito con il governatore Powell: Trump reclama un sostegno più deciso, mentre la Fed potrebbe rimanere concentrata sulla stabilità monetaria.
Non si può nemmeno tacere il rischio che tra le due forze contrapposte, una inflattiva come i dazi e l’altra deflattiva come il conseguente rallentamento economico, alla fine vinca la stagflazione, l’incubo degli economisti: recessione e inflazione insieme.
Non manca naturalmente chi continua a sostenere che tutto questo ha, per l’amministrazione Trump, uno scopo essenzialmente negoziale e che, quindi, presto ci si dovrà tutti sedere con lui a trattare.
Un ulteriore tassello della visione trumpiana è il finanziamento di nuove politiche fiscali attraverso i proventi doganali. L’ipotesi di ridurre le imposte sul reddito, compensando il mancato gettito con le entrate derivanti dai dazi, è già emersa più volte nei discorsi del Presidente. Alcuni analisti non escludono che presto possa essere varato un grande piano di tagli fiscali, scenario tradizionalmente apprezzato dai mercati ma non privo di incognite, specialmente in un contesto caratterizzato da tensioni commerciali.
Infine, desta curiosità la questione delle criptovalute: durante la campagna elettorale, Trump aveva ventilato l’idea di rendere gli Stati Uniti la “capitale mondiale delle criptovalute” e, benché queste promesse non si siano ancora tradotte in azioni concrete, nelle ultime sedute il Bitcoin ha mostrato una relativa tenuta malgrado il clima di maggiore avversione al rischio. Resta da vedere se i contraccolpi di questa guerra commerciale in fieri possano, per paradosso, alimentare l’attrattività delle crypto o se tutto ciò si rivelerà un semplice fuoco di paglia.
Nel complesso, ci si trova di fronte a un quadro geopolitico in cui le tensioni legate ai dazi spingono a rivedere assetti consolidati. Dalla dipendenza delle supply chain internazionali, fino al ruolo del dollaro e alle possibili pressioni sulla Fed, nulla appare del tutto scontato. Così, mentre la retorica della “reciprocità tariffaria” si mostra più complessa del previsto, si apre un confronto su larga scala in cui ogni mossa diplomatica o commerciale potrebbe modificare gli equilibri globali.
MSCI World: -8,5% (settimana), -9,9% (anno)
S&P 500: -9,1% (settimana), -13,4% (anno)
Nasdaq 100: -9,8% (settimana), -17,0% (anno)
Eurostoxx 50: -8,5% (settimana), +0,1% (anno)
FTSE Mib: -10,6% (settimana), +1,8% (anno)
Nikkei: -9,0% (settimana), -14,6% (anno)
Hang Seng China: -2,2% (settimana), +16,3% (anno)
MSCI Emerging: -2,9% (settimana), +1,8% (anno)
Nell’ultima settimana, le borse hanno sperimentato un’ondata di vendite piuttosto violenta, scatenate presumibilmente proprio dall’annuncio dei dazi da parte dell’amministrazione Trump. Gli indici statunitensi hanno segnato cali a doppia cifra, con l’S&P 500 che ha rotto alcuni importanti livelli di supporto, spingendosi in una correzione più pronunciata rispetto agli arretramenti dei mesi scorsi. Il fattore emotivo, specialmente nei segmenti tecnologico e industriale legati alle filiere globali, ha giocato un ruolo cruciale.
Osservando i differenti settori, i comparti difensivi (ad esempio utility e beni di consumo di base) hanno tentato di resistere, ma anch’essi non sono rimasti immuni dal clima ribassista generalizzato. Il Nasdaq 100, trascinato dai titoli tecnologici, ha invece registrato una discesa ancora più marcata. Anche in Europa si sono visti ribassi consistenti, tanto da intaccare i guadagni maturati da inizio anno.
Il VIX ha visto un rialzo molto considerevole, guadagnando 23,7 punti e chiudendo a 45,3, entrando così in un’area che tipicamente segnala, se ancora non panico, quantomeno parecchia paura. La curva a termine è decisamente in backwardation e con una decisa inclinazione.
Global Aggregate: +1,05% (settimana), +1,71% (anno)
Rendimento Treasury 10Y: 3,99% (-0,26% settimanale)
Rendimento Bund 10Y: 2,58% (-0,15% settimanale)
Rendimento BTP 10Y: 3,77% (-0,08% settimanale)
Spread BTP-Bund: 1,19% (+0,07% settimanale)
Nel contempo, il segmento obbligazionario ha risentito dei timori legati al rallentamento macro, favorendo un ribasso dei rendimenti sui governativi. Negli Stati Uniti, il Treasury decennale si è portato sotto la soglia del 4%, mentre in Europa si è assistito a un calo parallelo con il Bund tedesco, che ha ritracciato dal 3% verso livelli più bassi, e con il decennale italiano, pur se in misura leggermente inferiore. Lo spread BTP-Bund resta comunque attorno a 1,20%.
Molti analisti iniziano a focalizzarsi sulle prossime decisioni della Federal Reserve, per comprendere se i contrasti commerciali spingeranno verso nuovi tagli dei tassi entro fine 2025. Permane tuttavia l’incertezza sull’inflazione: da un lato, l’impatto recessivo dei dazi potrebbe raffreddare l’economia, dall’altro, l’aumento dei prezzi sui beni importati potrebbe mantenere alta la pressione inflazionistica. Sul fronte corporate, intanto, gli spread High Yield risultano in espansione, riflettendo la cautela verso le società più indebitate, mentre il segmento Investment Grade appare sostenuto da un parziale spostamento dei flussi verso titoli percepiti come più sicuri.
Petrolio WTI: 62,0, -10,6% (settimana), -13,6% (anno)
Oro: 3.038, -1,5% (settimana), +15,8% (anno)
EUR/USD: 1,096 , +1,2% (settimana), +5,8% (anno)
La settimana è stata molto movimentata anche sul fronte delle materie prime. Il petrolio WTI ha perso terreno, sulla scia dei timori legati a un potenziale indebolimento dell’economia globale. A questo proposito è da segnalare anche il fatto che l’OPEC+, pur di fronte a scenari potenzialmente di rallentamento economico, ha deciso di confermare l’annunciato aumento di estrazioni e, anzi, di incrementarlo ulteriormente. Secondo alcuni questa manovra sarebbe volta a rendere antieconomica l’estrazione dello shale oil statunitense.
Ribassi sensibili hanno interessato anche i metalli industriali, mentre l’oro, pur avendo tentato di consolidare i propri massimi, ha ceduto leggermente, mantenendosi comunque su valori piuttosto alti.
Nel cambio valutario, il Dollaro ha evidenziato una flessione contro l’Euro, superando quota 1,09, in parte per le attese di una politica monetaria statunitense più accomodante che sarebbe anch’essa legata al rallentamento economico. Come detto più volte, tuttavia, rimane tutto da capire se prevarrà tale possibile rallentamento o l’aumento dei prezzi innescato dalle tariffe.
Qui di seguito l’andamento dall’inizio del servizio (1 luglio 2019) dei portafogli modello al lordo dei costi di transazione (variabili in base all’intermediario utilizzato e generalmente compresi tra 2,5 e 20 euro per ciascuna operazione), di quelli sostenuti per la consulenza e degli eventuali impatti della fiscalità ed al netto, invece, dei costi dei singoli strumenti utilizzati.
I dati si riferiscono al passato ed i risultati passati non costituiscono un indicatore affidabile dei risultati futuri.
I portafogli modello costituiscono la base utilizzata nell’attività di consulenza in materia di investimenti.
I singoli portafogli dei clienti possono differire dai modelli anche in modo significativo in ragione di diverse cause, valutate per ciascun cliente nell’attività di consulenza, quali contingenze fiscali, pianificazione, gestione del rischio di ingresso o in logica life cycle. All’interno del portafoglio complessivo del cliente possono anche essere presenti più portafogli in considerazione della pianificazione per obiettivi effettuata all’inizio o in corso di consulenza continuativa.
Settimana decisamente negativa per i portafogli modello che da inizio anno sono in calo. Il drawdown in corso ha toccato ormai circa 1/3 del massimo storico dei portafogli, dopo molti mesi di crescita estremamente regolare. È probabilmente un momento in cui ha senso iniziare ad accumulare posizioni, sia sull’azionario con esposizione anche al cambio sua sull’obbligazionario europeo con un pochino di duration. Non ritengo ci sia una particolare urgenza, lo si può fare gradualmente in quanto è probabile che la volatilità rimanga alta, con anche possibili rimbalzi, ma ho parecchi dubbi sul fatto che la situazione sia tale da risolversi rapidamente come è stato, ad es., per il Covid. Certo molto è legato all’imprevedibilità di Trump e del suo staff, ma anche nell’ipotesi che si cerchi di instaurare un negoziato, i suoi esiti non saranno conosciuti in pochissimo tempo.
Certo che in questo momento si compra a prezzi e multipli decisamente più contenuti di un mese fa e, quindi, qualcosa può valere la pena di acquistare.
Da quando svolgo questa professione non ricordo un giorno in cui si potesse dire che non fosse un momento particolare in cui l’incertezza regnava nel modo più assoluto. Detto questo, è chiaro che avere in pochi anni una pandemia ed una guerra commerciale come non si vedeva dal diciannovesimo secolo rimane qualcosa di piuttosto raro. Facciamoci però l’abitudine, la storia ed i mercati sono così, incerti. La bussola che ci deve guidare rimane formata da pianificazione e gestione del rischio, le uniche armi che abbiamo a disposizione per difenderci dalle emozioni che rischiano costantemente di farci prendere decisioni avventate.
Perché riporto sempre queste avvertenze?
Dal mio punto di vista è una questione di abitudini sane. Prima di guardare il proprio portafoglio o valutare di effettuare o dismettere un investimento, è bene riportarsi alla mente i pochi concetti base che ci aiutano a recuperare consapevolezza, facendoci porre le giuste domande.
E quindi ricordo le principali emozioni a cui dobbiamo stare attenti operando sui mercati (so che sarete stanchi di leggerle o che, più probabilmente non le leggerete più ma, in realtà, sono quel tipo di considerazioni a cui bisogna ricorrere ogni tanto, quando ci si domanda cosa si stia facendo… e, quindi, repetita iuvant):
Manteniamo sempre il focus determinante sulla pianificazione individuale di ciascuno, che è l’unico aspetto sotto il nostro controllo (oltre naturalmente all’efficienza data dal contenimento dei costi), non essendo i mercati né controllabili né prevedibili, ricordando anche che:
Raccomandazioni generali
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