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Lo scorso 24 settembre la Commissione UE ha proposto un pacchetto di riforma sul mercato unico dei capitali.
Anche quale conseguenza delle risultanze dello studio BEUC, di cui si è dato conto in un precedente post, la Commissione, tra le altre azioni, spiega che la stessa “valuterà le norme applicabili nel settore degli incentivi e dell’informativa e, dove necessario, proporrà di modificare il quadro giuridico esistente affinché gli investitori al dettaglio ricevano una consulenza equa.”
Il miglioramento della consulenza finanziaria è inserita tra le priorità sulla base della considerazione che gli investitori retail non sono protetti adeguatamente dalla complessità del sistema finanziario. La Commissione prende atto che le misure messe in atto in tema di disclosure sui prodotto finanziari non hanno avuto efficacia e che gli incentivi alla vendita pagati dalle case prodotto creano conflitti di interesse e influenzano negativamente la qualità e oggettività dei consulenti finanziari.
Tra le ipotesi avanzate dalla Commissione vi è quella di “valutare” di stabilire il divieto di remunerazione dei collocatori da parte delle società prodotto e questo nonostante l’Esma, nel suo parere reso alla Commissione, sostenga l’opportunità di muoversi con cautela su questo punto.
Il tema è tuttavia decisamente caldo in Europa. In Italia non esiste alcun divieto alle commissioni che rappresentano il modo tipico di remunerazione dei consulenti bancari e di reti.Obiettivamente la statuizione di un divieto immediato comporterebbe un terremoto nel panorama del risparmio italiano, non vi è dubbio.
Dall’1 gennaio 2018, tuttavia, anche in Italia è stata istituita la sezione dell’Albo Unico dei Consulenti Finanziari dedicato agli Autonomi ed alle Società di Consulenza Finanziaria. Quindi se fino a poco tempo fa i risparmiatori ed investitori italiani non avevano, di fatto, una scelta alternativa a quella di investire i propri denari con banche e reti, oggi questa alternativa esiste ed è importante che sia diffusa quanto più possibile l’informazione dell’esistenza di questa alternativa.
Del resto, quando si è coinvolti in un contenzioso giudiziale ci si rivolge ad un avvocato di propria fiducia, non a quello della controparte. Quando si intende valutare l’acquisto di un immobile ci si rivolge ad un tecnico di propria fiducia, non all’agenzia immobiliare (che ha il compito di intermediare, non di prestare consulenza) o al tecnico del venditore. Quando si ha un problema tributario ci si rivolge ad un commercialista di propria fiducia. Insomma, quello che facciamo normalmente e da tanto tempo in molti ambiti della nostra vita, ora è possibile anche per la gestione del nostro risparmio.
Personalmente ritengo che nelle banche e nelle reti, insieme ad operatori che hanno una mera estrazione commerciale, vi siano anche ottimi professionisti. Semplicemente, però, non consiglieranno al risparmiatore la sottoscrizione di fondi di cui non abbia un’autorizzazione alla distribuzione. Tra un fondo incluso tra quelli distribuiti dalla sua casa mandante ed un etf che abbiano lo stesso andamento ma di cui il primo sia gravato da un ingente carico di costi che schiaccia la performance, non consiglieranno il secondo. Non perché non siano professionisti seri o perché non capiscano il vantaggio che ne avrebbe il cliente ma semplicemente perché il sistema non consente loro di farlo. Non intendo riferirmi nemmeno ad un divieto espresso, ammesso che non ci sia da parte della mandante, quanto invece al sistema di remunerazione e di inquadramento, nessuno può lavorare gratis. Vogliamo chiamarlo “conflitto di interessi”? Suona male e sembra richiamare in qualche modo richiamare una malafede a cui in realtà non intendo rifarmi in alcun modo. Diciamo che sotto questo profilo si tratta sicuramente di una posizione scomoda in cui, personalmente, preferisco non trovarmi.
Comunque sia il cambiamento sembra avviato, vedremo quali saranno i prossimi passi dell’Europa.
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