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di Flavio Rinaldi
Nelle scorse settimane si è parlato parecchio della piattaforma Robinhood e dell’attacco passato attraverso la stessa agli hedge funds che erano posizionati short sul titolo Game Stop. In generale, quello della democratizzazione della finanza è un tema ricorrente negli ultimi anni e chi sta spingendo commercialmente Robinhood vorrebbe ingenerare nei potenziali clienti il convincimento che, come suggerito anche dal nome della piattaforma, l’obiettivo del progetto sia proprio quello della democratizzazione.
A questo proposito, per stimolare un ragionamento e dare un contributo alla crescita della consapevolezza finanziaria, credo sia opportuno che i consulenti finanziari diano una lettura di alcuni aspetti della vicenda che, probabilmente, possono sfuggire a coloro che si occupano meno della materia.
Innanzitutto è importante sottolineare, ancora una volta, che quando un servizio viene resto gratuitamente, “il servizio sei tu”. La prima domanda che un cliente o potenziale cliente di Robinhood o di altre piattaforme analoghe che offrono servizi di trading gratuiti, è quale sia il motivo per il quale lo fanno e quale sia la loro fonte di reddito, a meno che qualcuno possa ritenere che queste aziende non hanno l’obiettivo di fare business ma sono invece sorrette da filantropi idealisti (che peraltro non potrebbero che appartenere a quel mondo finanziario che si vorrebbe avversare; fa un po’ specie, in proposito, la presa di posizione di Elon Musk).
Sostanzialmente possiamo dire che queste piattaforme hanno due tipi di business che ruotano, entrambi, intorno alla circostanza che quando si immette un ordine, questo non viene trasmesso ad un mercato regolamentato (come avviene quando, tramite la nostra banca, decidiamo di acquistare azioni di un’azienda quotata su Borsa Italiana o sul Nasdaq o l’S&P500). Il nostro ordine viene gestito dalla piattaforma in un altro modo. Una prima possibilità è che in realtà non stiamo negoziando i titoli ma dei CFD (Contracts for difference) cioè dei contratti che replicano l’andamento dell’azione ma la cui controparte, per noi, è la piattaforma stessa la quale applicherà uno spread tra denaro e lettera un po’ superiore a quello realmente presente sul mercato. Questo “un po’ superiore” è il suo margine. E quanto è “un po’ superiore”? Dipende. Dal broker, dal momento e da altri fattori. Quel che è certo è che questo aspetto è poco regolato e controllato e si presta quindi a qualche abuso.
L’altra possibilità è che, come nel caso di Robinhood, l’ordine venga trasmesso ad altri operatori professionali che, udite udite, pagano Robinhood per poter rendere il servizio di esecuzione degli ordini. Non so quante volte vi sia capitato nella vita che qualcuno vi paghi per potervi rendere un servizio. A me mai e, se mi capitasse, mi farebbe sorgere non pochi dubbi. In effetti è presumibile che questi operatori negozino i titoli sul mercato in conto proprio e poi “ribaltino” la negoziazione sui clienti di Robinhood a prezzi un po’ diversi. Relativamente a “un po’ diversi” vale quanto detto per “un po’ superiore”.
Il consiglio, quindi, se si vuole operare sui mercati, è quello di scegliere un broker o una banca che costi meno possibile ma non sia gratis e offra un servizio la cui qualità possa essere riscontrata cercando opinioni attendibili o verificandone la storia.
C’è un altro aspetto che è importante sottolineare per tutti coloro che stanno pensando che cavalcando e/o organizzando queste ondate “social” ci si possa arricchire facilmente, come hanno fatto tutti coloro che hanno fatto parte della community Robinhood. Per come funzionano i mercati, si è trattata di una grande bolla che, a differenza di quelle che si sono viste in precedenza, è montata e si è sgonfiata in pochissimo tempo. Il meccanismo però è quello delle altre bolle: qualcuno sale sul carro al momento giusto mentre gli altri ci salgono poi un po’ alla volta (in questo caso presumibilmente spinti anche da coloro che erano saliti prima, alla faccia della democratizzazione della finanza) fino a che la bolla scoppia, si innescano le vendite, un po’ perché le quotazioni non hanno alcun senso e un po’ perché c’è gente che sta guadagnando cifre astronomiche. Nel momento in cui la bolla scoppia, qualcuno rimane lì con il cerino in mano e quel qualcuno, presumibilmente, è proprio chi avrebbe dovuto godere della democratizzazione, cioè quello che tradizionalmente viene chiamato “parco buoi”, noi tutti investitori retail.
Allora, come sempre solo il futuro ci potrà dire come questa vicenda si evolverà; l’impressione, tuttavia, è che questa democratizzazione sia solo fumo negli occhi gettato da speculatori più spregiudicati di quelli con cui eravamo abituati ad avere a che fare.
Personalmente, credo molto nella democratizzazione della finanza ma ritengo che questa sia perseguibile solo lavorando per accrescere la consapevolezza finanziaria in Italia ed aiutando le persone a pianificare il proprio futuro finanziario ed a perseguire gli obiettivi che si pongono utilizzando strumenti efficienti, in modo che possano spendere meno possibile per beneficiare, però, di un servizio onesto e di qualità. Ne va del livello di benessere diffuso nel nostro Paese e del futuro di tante singole persone con cui, invece, certi operatori danno l’impressione di giocare solo per i propri fini.
Credo che tutta la categoria dei Consulenti Finanziari e, a mio avviso, in particolare quelli Autonomi, conducano un’opera di democratizzazione finanziaria molto più silenziosa ma anche molto più vera ed efficace di quella di certe altisonanti piattaforme.
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